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Merçede o donna. Amori e disincanti nella musica dell’Ars Nova

  • Concerti

L’ “Ars Nova”, movimento letterario e musicale della Firenze tra XIV e XV secolo, segna uno dei più grandi processi musicali italiani: Poesia e Musica raggiungono il momento di unione frutto di grande splendore ed alta espressione artistica. Dall’ isoritmia dei conductus si giunge ai madrigali a due o tre voci, alle ballate, prima monodiche poi con F. Landini a due o tre voci, alle cacce, fatte su imitazione degli antichi canoni.
Francesco Landini, Ghirardello, Magister Guglielmo, Donato, operarono tutti come cappellani, sacerdoti o monaci.
Ma nonostante i compositori del periodo furono tutti uomini di chiesa, le opere furono quasi esclusivamente profane e cantavano i tormenti d’amore.
La figura femminile è sicuramente uno fra i temi più ricorrenti, se non l’unico, che vennero usati nella poesia e nella musica.
Quasi tutte le composizioni erano dedicate alla donna per cui l’autore provava qualcosa, anche se il nome era nascosto tra il testo. C’erano due modi per non far notare il nome: il primo era il signal, cioè la tecnica trovatorica dove il nome veniva nascosto, anche se era visibile, fra i versi come nel brano “checc’altra donna”; il secondo era l’acrostipo dove il nome veniva nascosto su ogni prima lettera di ogni verso, riscontrato solitamente nei brani religiosi.
In questo programma vengono messi in risalto le due visioni di figura femminile, da una parte quella idilliaca, legata strettamente allo Stilnovo, che esaltala donna arrivando a chiamarla “Madonna”, descrive il suo parlar gentile, i capelli d’oro, le gentili sembianze, come troviamo molto ricorrenti nei testi di Francesco Landini; dall’altra quella quasi di disincanto, che porta verso il rifiuto, dovuto probabilmente da delusioni d’amore, come viene descritto in “Per tropo fede”, dove viene raccontato che per troppo amor a volta “se perigola”.
Per concludere, non si è parlato di danze, composizioni come il saltarello, il trotto e le istampite. Essendo queste composizioni tutte strumentali, non si parla di donne, né d’amore, ma sono comunque importanti nell’atto del corteggiamento: nel Decameron di Giovanni Boccaccio troviamo in ogni novella come ultima canzone una danza.
Per quanto riguarda la prassi esecutiva non è giunto niente fino a noi su quali fossero gli strumenti usati in ogni brano e il modo in cui venissero suonati. Sappiamo soltanto che tra i compositori, Landini, come risulta nei registri della chiesa di S. Lorenzo, era oltre che cappellano, organista.
Sappiamo poi, da qualche registro di pagamento di chiese o conventi, quali strumenti suonassero, ovviamente su repertori sacri e non profani. Ci aiutano anche le pitture e sculture che sono giunte fino a noi e che ritraggono vari strumenti in maniera più o meno dettagliata.
In questi ultimi si nota un dettaglio piuttosto importante: mentre vengono ritratti cantori che leggono musica, non si trovano strumentisti che suonino leggendo.
Questo dimostra sicuramente le tecniche mnemoniche legate poi all’improvvisazione. E’ probabilmente nell’Ars Nova che il musicista nei brani cantati si trova a doppiare le voci ed è quindi più libero di apporre delle variazioni libere sul tema. Si ritrova questo anche sulle danze del Codice 29987 conservato alla British Library che oltre ad essere monodiche, hanno una struttura semplice e ripetitiva, nel caso dei saltarelli; o come nelle istampite dove lunghe frasi musicali volgono ad una sorta di improvvisazione che ritorna sempre ad una coda finale che è sempre la stessa.

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